Christus patiens o Effusio sanguinis? Brevi considerazioni sul ‘Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia’ di Mariotto di Cristofano

Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia, 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

La tavola, dipinta a tempera, è conservata nel Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno. Questo spazio espositivo, esattamente come tutti gli altri piccoli musei locali che hanno il privilegio di trovarsi al di fuori delle rotte tipiche del turismo rumoroso e disattento, merita di essere visitato.

L’opera che racconto, estremamente delicata nelle forme e nei cromatismi, è stata realizzata tra il 1420 ed il 1425 da Mariotto di Cristofano, nato a San Giovanni Valdarno intorno al 1395 e morto a Firenze nel 1475 (vd. https://www.labellarivoluzione.it/2021/01/03/nota-piccolissima-su-mariotto-di-cristofano-artista-tardogotico-e-marito-della-sorellastra-di-masaccio/ ).

Come scrive Staderini[1], in questa tavola si nota ‘un austero impianto disegnativo ma anche un gusto per colori pastello stesi con la consistenza simile a una glassa di zucchero’. Al centro riluce un Cristo non particolarmente sofferente (patiens, dal latino patior), che emana un bagliore perlaceo, il corpo svelto e ben proporzionato sembra quello di un atleta. L’aureola cruciforme richiama l’avvenuta resurrezione. Il fondo oro regala allo sguardo la sacralità degna del soggetto rappresentato.

In effetti in quest’opera c’è ben poco dell’iconografia classica del Christus patiens… Iconografia che si è sviluppata a partire dal X secolo e nella quale Cristo sofferente è rappresentato col volto contratto, come racchiuso in un’espressione carica di tribolazione e amara consapevolezza, riferimento puntuale all’agonia e al dolore che, a partire dalla stessa Passio Christi, hanno portato all’esito della morte sulla croce [Figg. 1, 2].

Nell’opera di Mariotto di Cristofano, un Cristo bello, elegante, biondissimo, è raffigurato attraverso un linearismo esatto e statico che ne mette in luce il chiarore della figura e dell’espressione del volto; espressione lieve ma intensa che ricuce lo sguardo del protagonista allo sguardo della madre creando un gioco emotivo estremamente profondo [Fig. 3].

Fig. 3, Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia (part.), 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

Gesù risorto sostiene la croce e mostra cinque delle Sante Piaghe, le stigmate: le quattro ferite dei chiodi sulle mani e sui piedi e la ferita al costato.

‘Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua’ (Giovanni, 19, 32-34).

Il sangue che esce dal costato di Cristo, si dirama come purpureo corallo e zampilla vivace riunendosi con l’ostia nel calice eucaristico che sta a terra tra la figura della madre e quella del figlio [Fig. 4]. Richiamo immediato all’Intercessio Christi, cioè al sacrificio salvifico di Cristo sulla croce, sacrificio compiuto per l’umanità intera. Ma qui il tema è affiancato a quello propriamente nordico che si riferisce anche all’intercessione della Madonna presso suo figlio per la salvezza delle anime del mondo.

Fig. 4  Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia (part.), 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

Quindi, in questa tavola, più che il tema del Christus patiens, sono stati messi in luce quello della sacra intercessione della Madonna presso il figlio (Agnus Dei) e quello dell’Effusio sanguinis, cioè la rappresentazione del sangue che dal costato di Cristo viene versato nel calice eucaristico [Figg. 5, 6].

Fig. 5, Neri di Bicci, Effusio sanguinis, 1475, Museo di Arte Sacra, Tavarnelle Val di Pesa

Fig. 6, Lippo d’Andrea, Effusio sanguinis, secondo decennio del XV secolo, Museo di Arte Sacra, San Casciano in Val di Pesa

Nell’opera di San Giovanni Valdarno sono presenti anche la Madonna e santa Lucia. Maria, ‘stella del mattino’, è abbigliata secondo i colori tradizionali, veste rossa, manto blu come il cielo; e sul manto – sulla spalla – vi è ricamato un piccolo astro dorato, forse proprio un riferimento al noto epiteto ‘mattutino’ [Fig. 7].

Fig. 7, Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia (part.), 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

La veste rossa con cui viene raffigurata la madre di Dio esprime il concetto della rinascita; la vita che si rinnova eternamente, la misteriosa incarnazione del divino nell’esile corpo umano: Maria, con la propria totale accoglienza formulata all’Angelo annunciante (Ecce Ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum, Luca 1,38), si fa strumento per la realizzazione del mistero che dall’Incarnazione giunge alla Resurrezione di Gesù, quindi alla promessa di redenzione e salvezza per l’umanità tutta.

Infine, c’è lei. La santa della quale porto orgogliosamente il nome. Siracusana, vissuta nel III secolo, santa Lucia qui è mostrata di profilo, esattamente come la Madonna [Fig. 8]; questo espediente, cioè la disposizione delle due donne come se fossero una sorta di sipario che si apre sul protagonista della scena, rende ancora più facile concentrare lo sguardo sul corpo di Cristo il quale, già con la lucentezza opalescente del proprio incarnato, cattura completamente l’osservatore.

Fig. 8, Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia (part.), 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

La santa ha la gola trafitta da un pugnale, reca in mano una piccola lucerna con la fiammella accesa e vivida come la profonda fede che la fece uscire indenne dalle fiamme del rogo ordinato per lei dal governatore di Siracusa. Nell’altra mano, tiene tra le dita la palma del martirio [Figg. 9, 10, 11].

Figg. 9-10-11, Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia (part.), 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

Il ramo di palma è uno degli attributi iconografici più frequenti per i santi martiri, simbolo di vittoria sulla morte; nella Bibbia la palma, emblema della vita, viene nominata in diversi brani: nell’Apocalisse di Giovanni questa pianta, flessibile ma solida, è associata al trionfo dei martiri al cospetto di Dio seduto in trono:

‘Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello’ (Ap. 7, 9-10)’

Santa Lucia viene solitamente raffigurata con in mano un piattino (simile ad una patena liturgica) o un altro recipiente, in cui stanno adagiati i suoi occhi [Figg. 12, 13].

Fig. 12, Andrea e Giovanni della Robbia, Santa Lucia, 1523, Certosa del Galluzzo, Firenze

Fig. 13, Sassoferrato, Santa Lucia, XVII secolo, Palazzo Chigi, Ariccia

In un’opera veneziana di Palma il Giovane, gli occhi della santa sembrano due tuorli dadaisti, semplicemente fantastici [Figg. 14, 15].

Figg. 14-15, Jacopo Palma il Giovane, Santa Lucia, 1620, Chiesa dei SS. Geremia e Lucia, Venezia

La rappresentazione degli occhi della santa mostrati su un recipiente, è sbagliata: infatti Lucia, dopo essere uscita incolume dalle fiamme, morì per aver ricevuto una pugnalata alla gola o dopo esser stata decapitata. Non esiste alcun riferimento al fatto che le siano stati strappati gli occhi. E questa iconografia, così come la ragione del patronato della santa (ciechi e oculisti), è da associare sicuramente all’etimologia del nome ‘Lucia’: luminosa, splendente (lux, lucis).

Torniamo all’opera di San Giovanni Valdarno. La presenza delle due figure femminili accanto a Cristo che sorregge la croce, potrebbe essere stata ispirata da un’opera di teologia medievale: lo Speculum humanae salvationis. A Firenze infatti c’era una delle due versioni illustrate del trattato e nell’illustrazione di Cristo crocifisso ci sono l’allegoria dell’Ecclesia (una figura femminile con il calice e l’ostia) e quella della Sinagoga (una donna con il collo trafitto da una spada)[2]. Mariotto di Cristofano potrebbe aver adattato quelle formule simboliche nella propria opera, conferendo loro un nuovo significato.

Nella predella della tavola (che si presume esser stata aggiunta successivamente, perchè tecnicamente ed iconograficamente distante dalla tavola stessa), si succedono sette formelle geometriche ottagonali; quattro di esse fingono una decorazione in marmo, mentre nelle altre sono rappresentati, da sinistra a destra, un episodio della vita si san Silvetrso papa, l’arcangelo Michele che sferra il colpo all’odiosa bestia e infine san Ivo che si rivolge ai poveri ignorando i ricchi che tentano di corromperlo [Fig. 16].

Fig. 16, Mariotto di Cristofano, Christus patiens tra la Vergine e santa Lucia (predella.), 1420-1425, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

La piccola scena con san Silvestro che tiene per mano un bambino, probabilmente si rifà all’episodio leggendario secondo il quale l’imperatore Costantino, malato di lebbra, rinunciò ad usare il sangue di tanti piccoli innocenti per potersi curare, dal momento che, dopo aver ricevuto il battesimo da papa Silvestro I, guarì miracolosamente.

Questa bellissima tavola dipinta a tempera è l’espressione esatta della grande, inesauribile potenza dell’arte: esiste un repertorio infinito di ‘manufatti artistici’ (e quindi di ‘artefici’ di tali opere), un repertorio che continua a svelarsi e a comunicare con noi, nei secoli.

Queste opere ci offrono le note più profonde dell’epoca in cui sono nate.

Lucia Borri


[1] Staderini Andrea, Pittori fiorentini dal Tardogotico al Rinascimento, in Fornasari Liletta, Giannotti Alessandro (a cura di), Arte in terra d’Arezzo. Il Quattrocento, Firenze 2008, p.54

[2] Le personificazioni dell’Ecclesia (Cristianesimo) e della Sinagoga (Ebraismo), sono rappresentazioni tipiche dell’arte medievale, soprattutto in ambito nordeuropeo; sono ben note le due figure inserite nelle nicchie che affiancano il Portale del Giudizio Universale nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. I caratteri che definiscono le due figure allegoriche  possono variare: la figura femminile che rappresenta la Chiesa può sorreggere una lancia, una croce o un calice, può avere la testa coronata ed  ha sempre un’espressione trionfante e fiera;  la Sinagoga invece viene raffigurata con gli occhi bendati, la testa bassa, una lancia spezzata in mano, una corona caduta ai propri piedi  o addirittura la possiamo trovare rappresentata con accanto il diavolo.

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