‘La scultura non è scienza ma arte meccanicissima, perché genera sudore e fatica corporale al suo operatore’

Il Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci rappresenta una fonte inesauribile di informazioni, ed è straordinario il riscontro puntuale tra le investigazioni teoriche e la resa pratica nelle opere pittoriche dell’artista.

In mezzo alla fittissima trama di pensieri, si snoda anche una curiosa contesa che nella prima metà del Cinquecento assunse toni molto coloriti: si tratta del ‘paragone delle arti’, nella fattispecie quello tra pittura e scultura; un’animata disputa intellettuale nata per stabilire l’eventuale superiorità di un’arte su tutte le altre.

Nel testo di Leonardo, la questione prende le mosse da subito, come a voler sancire un punto fondamentale, senza il quale non avrebbero senso gli enunciati successivi.
Nel primo paragrafo viene definito il concetto di ‘scienza’, e si attribuisce alla pittura il posto d’onore che le spetta di diritto tra le arti liberali. Dopo essere stata relegata, per lungo tempo, in un limbo angusto in cui veniva accomunata alle ‘arti meccaniche’, la pittura, vestita dei suoi panni migliori, manifesta apertamente il proprio fondamento scientifico. Quindi la pittura è scienza!
Tale deduzione scaturisce da una considerazione fondamentale: essendo, la scienza, basata sulle ‘matematiche dimostrazioni’ e sull’esperienza (‘senza la quale nulla da di sé certezza’), il collegamento con la pittura diventa immediato, avendo quest’ultima gli stessi fondamenti: la geometria, quindi la matematica, e l’esperienza diretta attraverso i cinque sensi, tra i quali la vista che ha il ruolo più importante.
Non è da sottovalutare il fatto che tra Cinquecento e Seicento, l’Europa venisse investita da un rapido progresso scientifico e che Galileo Galilei (1564-1642) unisse alle ‘certe dimostrazioni’ (matematica) le ‘sensate esperienze’, dirette, ovviamente, dal metodo sperimentale.

L’aspetto puramente pratico, manuale, dell’elaborazione pittorica, assume così un ruolo decisamente secondario rispetto al valore intellettuale finalmente recuperato.

Dopo il primo significativo assunto in cui la pittura ha recuperato vigore, nel Trattato inizia il paragone di questa con le altre arti : poesia, musica e scultura.

Ecco alcune interessanti considerazioni sul confronto con la poesia:

‘Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile […] la pittura ha il suo fine comunicabile a tutte le generazioni dell’universo, perché il suo fine è subietto della virtù visiva […]. La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di natura […]. Le lettere rappresentano con più verità le parole al senso […]. Ma dicemmo essere più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere dell’operatore, cioè le opere degli uomini […]’

Viene così rivendicato il ruolo fondamentale della pittura, considerata come imitatrice, cioè capace di riprodurre fedelmente la natura (esattamente come per Aristotele).

Invece, sul confronto tra pittura e musica:

‘[…] la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediate dopo la sua creazione come fa la sventurata musica […]. Quella cosa è più degna che satisfa a miglior senso. Adunque la pittura satisfatrice al senso del vedere è più nobile della musica che solo satisfa all’udito […] nel descrivere la bellezza e bruttezza di qualunque corpo il pittore tel fa vedere tutto in un tempo […] il musico canta solo un canto composto di quattro cantori , e canta prima il canto, poi il tenore, e così seguita il contralto, e poi il basso; e di costui non risulta la grazia della proporzionalità armonica […]’

Si definisce il concetto di bellezza, ‘la quale solo consiste nella divina proporzionalità delle predette membra insieme composte, le quali solo in un tempo compongono essa divina armonia’. Fin troppo espliciti i richiami agli studi sulla Sectio Aurea, la straordinaria formula elaborata da Euclide (IV sec. a.C), nel sesto libro dei suoi Elementi; si tratta della proporzione magica che scandisce le misure del Partenone e gli studi di Vitruvio, che si fa “riscoprire” durante il Rinascimento, dopo i secoli bui dell’oblio, e che viene infine esaltata e codificata nel compendio matematico-geometrico che ne fa l’eclettico matematico frate Luca Pacioli (1445-1517): il trattato De divina proportione (1509).

I primi due confronti (poesia e musica) servono soprattutto a delimitare le caratteristiche specifiche di ogni disciplina, e non (ancora) a conferire alla pittura il primato; infatti, considerando i sensi come destinatari dell’arte, ed avendo, la vista, le maggiori prerogative, è logico che la pittura parta sempre avvantaggiata…

Alla fine di questi brevi paragrafi, viene chiarito un atro aspetto importante: la distinzione fra scienza ‘meccanica’ e scienza ‘non meccanica’; la scienza, per Leonardo, non coincide con un processo soltanto mentale ed intellettuale :

Dicono quella cognizione essere meccanica la quale è partorita dall’esperienza, e quella essere scientifica che nasce e finisce nella mente, e quella esser semimeccanica che nasce dalla scienza e finisce nella operazione manuale. Ma a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori le quali non sono nate dall’esperienza, madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienza, cioè la loro origine, o mezzo, o fine, non passa per nessuno de’ cinque sensi

Ancora una volta, la conferma che la pittura rientri a pieno titolo nel novero delle scienze, dal momento che rappresenta un processo creativo che coinvolge i sensi dall’inizio alla fine. L’opera prende forma dallo studio e dall’osservazione diretta dei fenomeni naturali, e ricrea, una volta compiuta, un’esperienza puramente sensibile, in cui la vista – naturalmente – trae la maggiore soddisfazione. Certamente, la vastità nebbiosa della prospettiva aerea leonardesca dà un notevole contributo affinché ciò si realizzi…

Ed ecco arrivare finalmente la questione più spinosa. Il confronto tra pittura e scultura.

I brani dedicati alla scultura si aprono con un affermazione secca e decisa (estremamente divertente), che elimina, da subito, qualunque incertezza :

La scultura non è scienza ma arte meccanicissima, perché genera sudore e fatica corporale al suo operatore […]’

Il dualismo manicheo mente/corpo non lascia scampo: la pittura e la scultura, secondo Leonardo, si affrontano essenzialmente secondo questo inconciliabile binomio… Inutile dire che al corpo viene dato un ruolo subordinato, infimo, rispetto all’aulico carattere colto e speculativo che è la base stessa della pittura…
Tale assunto si rivela un punto di forza su cui Leonardo ribatte in modo sempre più serrato:

‘[…] con esercizio meccanicissimo, accompagnato spesse volte da gran sudore composto di polvere e convertito in fango, con la faccia impastata, e tutto infarinato di polvere di marmo che pare un fornaio, e coperto di minute scaglie, che pare gli sia fioccato addosso; e l’abitazione imbrattata e piena di scaglie, e di polvere di pietre […]’

Il lavoro del pittore, invece, si svolge in modo pacato, rilassante, in un ambiente tranquillo e pulito :

‘[…] il pittore con grande agio siede dinanzi alla sua opera ben vestito, e muove il levissimo pennello co’ vaghi colori, ed ornato di vestimenti come a lui piace; ed è l’abitazione sua piena di vaghe pitture, e pulita, ed accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere, le quali senza strepito di martelli od altro rumore misto, sono con gran piacere udite

A questo proposito Vasari (1511-1574), nella Vita di Lionardo da Vinci, narra che, mentre l’artista ritraeva Monna Lisa, ci fossero intorno a loro suonatori, cantori e perfino dei buffoni utili a far stare allegra la dama…

Il paragone continua sulla base delle differenze tecniche delle due arti e la prima considerazione verte sulla facilità della scultura rispetto alla pittura.
La capacità del pittore è nettamente superiore, egli infatti ‘in una piana superficie per forza di scienza dimostra le grandissime campagne co’ lontani orizzonti’.
Per lo scultore è tutto più semplice, basta solo che prenda bene le misure! E, se mai dovesse sbagliare togliendo troppo materiale dalla scultura, la colpa sarebbe certamente della sua ignoranza:

‘[…] dice lo scultor ,che se è leva di soverchio, non può più aggiungere, come il pittore. Al quale si risponde: se la sua arte era perfetta, egli avrebbe sollevato mediante la notizia delle misure quel che bastava, e non di soverchio, il quale levamento nasce dalla sua ignoranza…Ma di questi non parlo, perché non sono maestri, ma guastatori di marmi

Lo scultore non si serve delle ‘infinite speculazioni’ del pittore: la tridimensionalità della scultura (il tuttotondo) è insita nella materia stessa (marmo od altro materiale), quindi l’artefice non ha alcun merito, deve solo assicurarsi di aver ben misurato tutte le parti, per far sì che la visione d’insieme (davanti, dietro, alto, basso), risulti completa e ben proporzionata.

Così Leonardo elenca uno per uno, i dieci dati di cui il pittore deve tener conto nell’esecuzione pratica, rispetto ai cinque dello scultore:

Il pittore ha dieci vari discorsi , co’ quali esso conduce a fine le sue opere, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto, quiete. Lo scultore solo ha da considerare corpo, figura, sito, moto e quiete. Adunque ha meno discorso la scultura, e per conseguenza è di minore fatica d’ingegno che la pittura

Le riflessioni sulla danza delle luci e delle ombre, rappresentano un aspetto particolarmente vivo in Leonardo; gli studi su questi due importanti valori estetici occupano tanta parte delle sue ricerche, quindi, secondo lui, lo scultore risulta avvantaggiato ancora una volta; infatti, l’alternarsi di luci ed ombre è un effetto che, nella scultura, viene prodotto semplicemente dalla natura: la luce naturale, posandosi sulle parti concave e accarezzando quelle in rilievo, crea istantaneamente, in modo autonomo, gli effetti che il pittore si sforza di ricreare.
Il chiaroscuro, lo sfumato, il colore e gli effetti di lontananza e vicinanza (ottenuti integrando la prospettiva artificiale a quella aerea) determinano la grandezza dei risultati pittorici e, cosa più importante, sono frutto dello studio, dell’ingegno e delle capacità tecniche dell’artista.

Leonardo, dichiarando di adoperarsi ‘non meno in scultura che in pittura’ fa una distinzione importante anche tra il tuttotondo e il bassorilievo.
Dalle premesse enunciate finora è facilmente percepibile che il bassorilievo acquisti un valore tecnico ed estetico nettamente superiore al tuttotondo:

‘ […] il basso rilievo è di più speculazione…e si accosta alquanto alla pittura, perché è obbligato alla prospettiva […] è di men fatica corporale […] ma assai di maggiore investigazione […] nel tutto rilievo la natura aiuta lo scultore

Torna il motivo della fatica fisica. E torna anche l’ennesimo riferimento all’indagine prospettica che conferisce valore autentico alla pittura. In altre parole, il tuttotondo ricrea corpi tridimensionali semplicemente imitando quelli presenti in natura, la pittura li ricrea – grazie alla scienza – in una tavola bidimensionale, e il bassorilievo assume così un valore intermedio :

Dice lo scultore che il basso rilievo è specie di pittura; questo in parte si accetterebbe in quanto al disegno, perché partecipa di prospettiva; ma in quanto alle ombre e lumi, è falso in scultura e in pittura […] questa arte è una mistione di pittura e scultura

Il bassorilevo rappresenta dunque l’unico spiraglio di salvezza per la scultura!
Ma esiste (almeno apparentemente) una caratteristica della scultura che, ahimè, la pittura non possiede: la durata nel tempo.

‘[…] come la pittura è più bella, e di più fantasia e più copiosa, è la scultura più durabile, che altro non ha […] è più resistente al tempo […] è più eterna per temer meno l’umido, il fuoco, il caldo e il freddo

A Leonardo, da osservatore raffinato qual è, non sfugge il fatto che il merito della durata dell’opera scultorea non sia certo dell’artefice:‘ tal permanenza è virtù della materia sculta e non dello scultore’.

Non solo, ma coraggiosamente parla di alcune tecniche pittoriche che, per resistenza nel tempo, superano addirittura la scultura:

‘ […] nel parentado della Robbia, i quali hanno trovato modo di condurre ogni grande opera in pittura sopra terra cotta coperta di vetro […] la pittura fatta sopra rame grosso coperto di smalto bianco, e sopra quello dipinto con colori di smalto, e rimesso in fuoco e fatto cuocere, questa per eternità avanza la scultura

I metodi, francamente poco ortodossi, con cui l’artista difende strenuamente la sua tesi, non lasciano via di scampo alla scultura, che troverà però in Michelangelo un valido difensore…

Stabilito il primato della pittura su tutti i fronti, ecco un ultimo resoconto che sancisce definitivamente questa vittoria:

‘[…] manca la scultura della bellezza de’ colori, manca della prospettiva de’ colori, manca della prospettiva e confusione de’ termini delle cose remote all’occhio […]. E tale arte abbraccia e restringe in sé tutte le cose visibili, il che far non può la povertà della scultura, cioè i colori di tutte le cose e loro diminuzioni’

E infine:

La scultura con poca fatica mostra quel che la pittura pare cosa miracolosa, cioè a far parere palpabili le cose impalpabili, rilevate le cose piane, lontane le cose vicine; in effetto la pittura è ornata d’infinite speculazioni, che la scultura non le adopera

Il paragone pittura-scultura non ha un esclusivo valore in sé, ma rientra in una sfera di ragionamenti e prospettive intellettuali più ampia; ciò non toglie serietà o franchezza di intenti alle considerazioni formulate da Leonardo, tutt’altro; testimonia, anzi, la consapevolezza matura di trovarsi in un particolare momento di svolta per l’arte, la cultura, gli uomini.

Il tema vero e proprio del paragone delle arti non tarderà a manifestarsi in modo più aperto, in modo pubblico, interessando vivacemente un’ampia fascia di personaggi, sia gli addetti ai lavori veri e propri che gli ‘spettatori’.
Il culmine di questo straordinario dibattito troverà spazio nella famosa Inchiesta promossa nel 1547 dal vivace ingegno di Benedetto Varchi (1503-1565); in questo famoso scambio di corrispondenza, lo storico fiorentino invitò gli artisti (in particolare quelli che orbitavano intorno alla corte medicea), ad esprimersi, per lettera, riguardo alla questione del paragone delle arti.
Il guanto lanciato suscitò, com’era prevedibile, l’entusiasmo dei contemporanei e le risposte pervenute, considerato il calibro dei partecipanti (Vasari, Bronzino, Pontormo, Tasso, Sangallo, Tribolo, Cellini e addirittura il ‘divino’ Michelangelo) meriterebbero un’analisi separata.

La controversa disputa sul primato delle arti e, nello specifico, il paragone tra pittura e scultura, avrebbe potuto trovare un’agevole soluzione attraverso un semplice sillogismo (considerato da Aristotele il ragionamento deduttivo per eccellenza); un sillogismo che dovrebbe suonare così: se pittura e scultura sono entrambe forme dell’espressione creativa dell’uomo e se tutte le espressioni creative umane sono arte, allora pittura e scultura sono arte!
Effettivamente, in questo modo, la questione verrebbe risolta… Non avrebbe alcun senso trovare infiniti cavilli per dimostrare il diritto di priorità artistica dell’una sull’altra disciplina…
Ma sarebbe una conclusione che implica l’annullamento stesso del problema, un girarci intorno senza approfondirne l’essenza, l’intimo carattere, le peculiarità specifiche.
Sarò più chiara: se io vedessi un pettirosso e un cardellino, non commetterei nessun errore dicendo che entrambi sono uccelli e che nessuno dei due presenta caratteristiche tali da fargli acquisire più diritti dell’altro di appartenere a quella determinata categoria; ma se io volessi andare più in profondità, noterei che il pettirosso ha il becco sottile, grandi occhi neri, gola e petto di colore rosso, dorso marrone chiaro etc… Il cardellino presenta un piumaggio più variegato, ali maculate di giallo, ventre bianco… E poi il canto, il canto caratteristico di ciascuno dei due, crea la vera differenza. Questa spicciola digressione ornitologica non ha, ovviamente, un valore particolarmente significativo, rappresenta soltanto un esempio facilmente leggibile riguardo alla possibilità, e addirittura alla necessità, di approfondire la conoscenza instaurando dei paragoni fra le cose. Mettere in relazione i fatti, i termini, gli eventi, gli ambiti, le strutture minime o massime di un qualunque discorso, favorisce inevitabilmente il progresso del pensiero.
Credo che questo sia il merito più grande che si possa attribuire al fenomeno preso in esame.

L’esito più significativo, scaturito dal paragone delle arti, consiste nell’aver indagato a fondo, sviscerandoli, i connotati tipici delle due ‘sorelle gemelle’ (Leonardo) : la pittura e la scultura.

Lucia Borri

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