monsieur Platone et madame Bellezza

Annotazioni su un libro: L’enigma della Bellezza di Franco Rella (Feltrinelli, 1991). Il mio commento, si sofferma sull’analisi della visione estetica di uno dei protagonisti del libro, Platone (Atene, 427 a. C. – 347 a.C.). La bellezza come simmetria e perfezione, come bene, come manifestazione di un principio superiore, la bellezza come verità, come numero. Nella storia del pensiero la bellezza è stata oggetto di riflessioni e teorie che hanno preso infinite direzioni. Franco Rella (scrittore, studioso e docente di Estetica), in questo libro indaga attraverso i secoli per trovare le tracce della bellezza, ma queste tracce assomigliano a delle orme lasciate sulla sabbia: la marea le cancella, ogni volta. E se ne formano di nuove, poi altre e altre ancora. La bellezza è caducità o assolutezza? Quali sono i principi attraverso cui essa si genera e quelli con i quali noi possiamo percepirla, riscontrarla? La bellezza ha un suo fondamento etico o è soltanto vanitas? La ricerca dell’autore parte dal filosofo Eraclito ed arriva fino ad oggi tracciando un percorso cronologicamente rettilineo ma idealmente simile ad una spirale: il discorso infatti parte da un punto e sembra girare all’infinito intorno ad esso allontanandosene progressivamente. Ma, allontanarsi, non significa necessariamente perdere di vista il punto da cui si è partiti, bensì intraprendere tutte le possibili strade, spingersi fin dove si può, per poter tracciare percorsi inimmaginati che portino a risultati nuovi. Il sostrato culturale di questo percorso ha una collocazione ben precisa: la Grecia antica, quindi il mito, la filosofia e la tragedia. Il titolo stesso del libro è indicativo e ambivalente, fa riferimento sia a questo patrimonio intellettuale (l’enigma, dunque la Sfinge, Edipo e la tragedia), sia alla natura velata e misteriosa della bellezza. La Sfinge, utilizzando l’enigma, si fa portavoce del doppio, dell’ambiguo, per cui ogni cosa presenta un significato apparente e un significato profondo in cui trova dimora ‘il vero’. Lasciarsi affascinare dall’enigma della bellezza non consiste in un vero e proprio tentativo di risoluzione, ma di sicuro rappresenta l’unica soluzione possibile: soltanto persuadendosi della natura enigmatica e misteriosa della bellezza avremmo svelato il suo più intimo segreto. Rella si muove attraverso i parallelismi e le opposizioni di una visione multiforme della realtà, in cui il pensiero assume ogni volta profili diversi; per lo più la visione della realtà è una visione dualistica: l’armonia e il conflitto, la forma e l’informe, il visibile e l’invisibile, la luce e il buio, l’ordine e il caos… In questa inconciliabilità dei contrari, il punto che acquista un valore propriamente gnoseologico (conoscitivo), è il punto che sta in mezzo: lo squarcio, la pausa, il vuoto, l’intervallo, la cesura, rappresentano il luogo in cui addentrarsi, in bilico tra il visibile e l’invisibile, per giungere a una conoscenza che vada oltre la conoscenza stessa, per scorgere infine i segni e le impronte della bellezza. Questo viaggio, è un’esperienza puramente metafisica. Quindi, come può, la bellezza, essere soltanto la caratteristica estetica di un oggetto che noi definiamo bello? Non è possibile fermarsi a questo. Sarebbe una considerazione fastidiosamente approssimativa, un oltraggio alla bellezza. Tutte le riflessioni che riguardano la bellezza, hanno come comune denominatore una radicata consapevolezza: esistono una bellezza apparente e sensibile, ed una bellezza nascosta che trascende la realtà visibile. La bellezza ‘superficiale’ implica necessariamente anche una conoscenza superficiale, fondata sull’esperienza sensibile, che può offrire opinioni particolari ed effimere, cioè vincolate da determinate circostanze culturali, temporali, geografiche. Per questo motivo la speculazione filosofica intorno alla bellezza non ha interessato solo i filosofi, ma anche i letterati, i pittori, i poeti, che hanno cercato di definire e codificare la bellezza secondo criteri particolari e specifici, criteri che sono figli del tempo e del luogo in cui si sono sviluppati. E se invece avvicinassimo l’idea di sapienza all’idea di bellezza? Spingendoci quindi oltre la materialità corporea e consistente della bellezza formale? Questa idea è stata elaborata da Platone, che arriva perfino ad annullare qualsiasi tipo di differenza semantica tra i termini philokalìa (amore per la bellezza) e philosophìa (amore per la conoscenza) adoperandoli come sinonimi. Platone, per parlare in modo puntuale di bellezza, in uno dei suoi dialoghi (Simposio), introduce una figura, Eros, un demone che rappresenta il punto intermedio tra l’umano e il divino. Eros non è ingiusto né riceve ingiustizia, non è sapienza né ignoranza, ed anela alla bellezza, quindi alla sapienza, che rappresenta la cosa più bella che esista. Questo suo stato di mancanza gli consente di desiderare ardentemente la bellezza. Ma anche la bellezza che si rende visibile nell’esperienza sensibile (cioè la bellezza ‘legata’ al luogo e al tempo), non è fine a se stessa, bensì rimanda anch’essa ad un principio trascendentale che rappresenta l’Essere. Quindi, il concetto di bellezza che permette all’uomo di riconoscerla ed esprimerne giudizi a riguardo, non deriva dal mondo dell’esperienza che consente solo valutazioni approssimative e fuorvianti, no. La bellezza è un concetto assoluto (ab solutus), sciolto dai legami e dai rapporti accidentali forniti dalla realtà così come ci appare, quindi deve necessariamente preesistere, in forma perfetta , nella mente dell’uomo. Questo processo di riconoscimento della bellezza nel mondo visibile si attua attraverso la reminiscenza (l’anamnesi platonica), cioè la scoperta di idee assolute ed immutabili all’interno del proprio intelletto, scaturita dalla percezione sensoriale del mondo. Il possesso di questa conoscenza deriva da un mondo sovrasensibile in cui tali pensieri esistono come realtà in sé: il mondo delle Idee (Iperuranio). Guardando, toccando, vivendo il mondo ‘materiale’, l’uomo rintraccia in se stesso le idee, i principi eterni delle cose, di tutte le cose. Attraverso l’esperienza sensibile, c’è il riconoscimento delle Idee e il conseguente ricongiungimento intellettivo con le Idee stesse. Quindi la conoscenza sensibile è la base su cui può nascere e svilupparsi la conoscenza intellettiva. La bellezza in Platone assume un valore gnoseologico ed ontologico (la bellezza come conoscenza, quindi come conoscenza dell’Essere), ed anche un valore etico e morale (la bellezza come manifestazione del bene, essendo contemplazione delle sostanze ideali che rappresentano il bene assoluto). Come Eros è un demone che si trova in un punto intermedio, così il filosofo sta in mezzo tra la sapienza e l’ignoranza: pur non possedendolo, desidera ‘il vero’. Eros è dunque un filosofo, amante di sapienza. Parlare di bellezza è come parlare di un percorso ascensionale in cui partendo dalla bellezza del mondo sensibile arriviamo alla contemplazione di una bellezza sovrasensibile, assoluta, universale ed immutabile. È necessario procedere mediante la contemplazione delle cose belle per poter raggiungere, all’improvviso, in un istante, l’esperienza del bello come Uno, come Idea, come forma dell’unità che ha superato il dissidio e la molteplicità. L’istante in cui avviene questa conoscenza non è collocabile in uno spazio o in un tempo (atopos). Infatti, intorno alla conoscenza del bello (quindi, del bene), è estremamente complesso potersi esprimere, probabilmente è addirittura impossibile… L’ esperienza della bellezza è un esperienza metafisica (che va oltre il dato sensibile), ma coraggiosamente, l’essere umano, essendone totalmente avvinto, continua a parlare di bellezza e lo farà fino alla fine dei tempi. In un altro dialogo (Fedro), Platone pone due considerazioni fondamentali: la prima riguarda la superiorità del pensiero dialettico-filosofico rispetto a tutte le altre forme di conoscenza: l’interazione tra due princìpi che si fronteggiano, essendo in contrapposizione l’uno rispetto all’altro, è lo strumento più efficace per poter argomentare intorno alla verità. La seconda valutazione, è la constatazione della bellezza come forma di amore. Attraverso il metodo dialettico, l’anima attua la sua indagine interiore che consiste in una ricerca lunga e faticosa per poter andare oltre le apparenze, oltre i dati ingannevoli e raggiungere la verità. La dialettica serve quindi a raccordare in un’unica visione tutte le possibili sfaccettature date dal molteplice. Occorre superare la visione soggettivista e relativista che possiedono i sofisti o i poeti o i pensieri filosofici non dialettici. Questo è l’unico linguaggio possibile per chi veramente voglia raggiungere la conoscenza attraverso l’amore vero e proprio della conoscenza (philosophia). La bellezza nel mondo ha una prerogativa speciale: grazie alla vista, da cui scaturisce la visione (considerata generalmente la percezione più spiccata), è la cosa che si manifesta con più evidenza, suscitando naturalmente amore verso di sé. Durante il Medioevo la filosofia e la teologia saranno continuamente in bilico tra due ipotesi che scaturiscono dal pensiero platonico: la bellezza sensibile che rimanda alla bellezza divina, e la bellezza sensibile come la via deviationis che incatena l’uomo nel suo stato umano e terreno evitando che il suo pensiero si indirizzi verso la bellezza e l’amore assoluti… La bellezza di cui parla Platone, quali caratteristiche presenta? Nel Fedro, Platone parla della bellezza come simmetria che collega il sensibile e lo spirituale. Il termine simmetria (symmetría, composto da sýn ‘con, insieme’ e métron ‘misura’), indica un rapporto armonico tra più parti di una figura, per cui la stessa figura viene ricondotta in unità. Il concetto di simmetria è strettamente legato alla matematica, quindi al numero. La matematica ha informato notevolmente il pensiero platonico perché permette il processo di astrazione (vero e proprio processo metafisico), per arrivare alla comprensione delle idee. L’astrazione serve a cogliere la perfezione assoluta andando oltre il mondo sensibile in cui c’è sempre una mescolanza, un dissidio. La conoscenza delle idee, ha alla base le leggi, le relazioni e i rapporti matematici. Come la matematica anche la geometria e la musica hanno lo stesso valore particolare. Essendo la matematica fondata sul numero, non esiste niente di meglio per far compiere all’intelletto il processo astrattivo: il numero infatti è quanto di più astratto possa esserci, è anzi l’ente astratto per eccellenza. Le leggi e le proporzioni della matematica e della geometria regolano il mondo visibile attraverso l’armonia. Il Demiurgo (nel Timeo), è l’artefice divino che conferisce forma alla materia (chora) prendendo come modello il mondo delle Idee. Il mondo risulta così ordinato ed armonico. Ma secondo quale criterio? Naturalmente un criterio geometrico, infatti le prime forme che la materia assume sono forme geometriche: la terra assume la forma del cubo, l’acqua dell’icosaedro, l’aria dell’ottaedro, il fuoco del tetraedro. Queste figure perfette sono a metà strada tra il mondo ideale e il mondo sensibile. Ma se il mondo è stato plasmato da un artefice che aveva come modello la perfezione e la bellezza del Mondo Ideale, l’Unita dell’Essere stesso, da cosa dipendono allora le imperfezioni e la mutevolezza? Qui si apre inevitabilmente un varco che conduce a un limite estremo, che sembra sconfinare nell’irrazionale. Esiste infatti un ostacolo, una “necessità” che oppone resistenza alla volontà plasmatrice del Demiurgo: questo impedimento è rappresentato dalla chora, termine non facilmente definibile ma che rappresenta comunque l’informe, la materia oscura a cui viene impressa la forma. La chora rappresenta, più semplicemente, il ‘non-essere’. Questo presuppone che nella realtà sensibile esista un dualismo che non trova risoluzione: da una parte le cose modellate secondo la razionalità, il lògos del Demiurgo che ordina e regola, dall’altra le cose modellate su una chora che ha in sé tutti i caratteri del disordine, della non-finitezza, dell’indeterminato. Quindi le cause che producono il cosmo sono due: il logos del Demiurgo e l’irrazionalità della chora. Il primo, artefice dell’armonia (frutto di proporzione ed equilibrio), la seconda, generatrice del disordine. Il pensiero platonico, che si era proposto di superare gli esiti raggiunti da Eraclito e dai tragici, si trova sull’orlo di un precipizio. L’esistenza di questa forma che non è forma, questa materia oscura e difficile da comprendere, ci fa pensare di essere a un passo dal caos… È come essere entrati dentro un labirinto, una silva da cui sembra impossibile uscire. L’unica uscita possibile risiede nel pensare che tutto si possa generare anche all’interno di una medesima cosa: la chora è un principio in sé, un ente che non solo riceve le forme dettate dalla ragione dell’artefice ma, essendo privo di razionalità e di ogni carattere finalistico, può anche opporre resistenza alla forma stessa che gli viene impressa. Nella realtà sensibile è quindi presente il ‘non-essere’ ontologico a cui non è possibile neanche pensare. Questo ‘non-esser’e è il nulla. Rintracciare i segni della vera bellezza, nel mondo sensibile, risulta difficile proprio a causa del contrasto, dell’inconciliabilità, del divenire incessante che caratterizzano la realtà. Ma potrebbe essere anche il contrario: forse proprio grazie alla bellezza percepiamo questi dissidi e queste contraddizioni, notiamo le opposizioni e le differenze date dalla molteplicità. È in virtù della bellezza che va preservata la diversità, anche quando questa sembra paradossale. La bellezza è armonia, è prodotta da varie componenti che si risolvono in un tutto unitario. Quando parliamo di armonia musicale cosa significa? Quando, osservando un paesaggio, leggendo una poesia, guardando un quadro, pensiamo all’armonia, da cosa dipende? L’armonia si realizza attraverso un divenire organizzato e articolato razionalmente, un alternarsi delle opposizioni che creano un equilibrio. L’idea di bellezza quindi si genera attraverso le varie componenti di un tutto che non sono in contrasto tra loro, ma appunto in armonia, così da costituire un insieme organico. Il ‘non-essere’, la chora platonica, diventa quindi necessario per l’esistenza stessa della bellezza. Semplificando: può esistere il bello senza il brutto? Il pieno senza il vuoto? La forma senza l’informe… Il segreto è ancora nella matematica, è una questione di numero, di misura, di proporzione. La bellezza, più che un fenomeno qualitativo, risulta essere quindi un fenomeno quantitativo e misurabile. Sono i rapporti tra “diversi” che generano la bellezza; essa non è data dal singolo elemento preso in sé, ma dall’intervallo, dalla cesura, dal vuoto che intercorre tra gli elementi. Proprio come per l’Estetica, anche per l’intero universo, la Bellezza rappresenta sia il mezzo con il quale questo viene ad essere, sia il fine a cui tutto tende.
 
Lucia Borri, 2006

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