Impression, soleil levant

Nel 1872 accadde una cosa straordinaria. Claude Monet dipinse ‘Impression, soleil levant’ [Fig.1]. Nasceva l’Impressionismo.

Fig. 1, Claude Monet, Impression, soleil levant, 1872, Parigi, Museo Marmottan – Monet

Napoleone III fu l’imperatore dei francesi dal 1852 fino alla guerra franco-prussiana del 1870 in cui perse il trono;  fu, inoltre, il marito di una donna spagnola considerata tra le più belle dell’epoca, Eugenia de Montijo: l’imperatrice Eugenia [Fig.2], che ha dato il proprio nome ad un bellissimo fiore sudamericano, la Passiflora Imperatrice Eugenia.

Fig. 2, Gustave Le Gray, L’impératrice Eugénie en prière, été 1856, New York City, Metropolitan Museum of Art

Ma nella nostra storia, Napoleone III, ci interessa per un altro motivo. Nel 1863 l’imperatore decise di far nascere a Parigi il Salon des Refusés (Salone dei Rifiutati, nome estremamente chiaro ed emblematico), in cui esporre le opere d’arte degli artisti che non erano considerate degne di essere presentate nel Salon ufficiale, quello organizzato dall’Académie des beaux-arts di Parigi.

Il Salon era un’esposizione artistica nata sotto il patrocinio reale nel XVII secolo; si svolgeva nella Galleria di Apollo al Louvre (quello straordinario, ampio corridoio con il soffitto a volta, interamente dipinto e decorato con stucchi dorati) ed ospitava opere di pittura e di scultura. Per un certo periodo l’esposizione assunse cadenza biennale ma, dopo la Rivoluzione Francese, tornò ad animare il fervore degli artisti ogni anno.

I pittori e gli scultori che ricevevano il riconoscimento da parte dei membri della giuria del Salon, potevano certamente contare su una proficua carriera professionale: questo riconoscimento ufficiale era una sorta di garanzia sull’effettiva qualità delle opere d’arte.

Il primo Salon des Refusés del 1863, ospitò opere di Manet (l’opera esposta, Déjeuner sur l’herbe, merita un piccolo racconto a parte), Pissarro, Whistler…

Nel 2014 un’opera di Manet è stata acquistata dal Getty Museum di Los Angeles per 65 milioni di dollari. Questo può essere incomprensibile per noi, oggi. Non entro, naturalmente, nel merito della questione economica, sulla quale si potrebbero aprire decine e decine di dibattiti che non troverebbero mai un’oggettiva conclusione; ma questo bizzarro transitare del gusto, attraverso cui un’opera d’arte passi dall’essere un ‘rifiuto’ all’essere il non plus ultra dell’intero panorama artistico globale, merita una breve riflessione perchè è, senza dubbio, il segno tangibile della modalità di ricezione di un messaggio (di qualunque tipo esso sia), da parte dell’essere umano. Sarò più chiara, un progetto rivoluzionario, non ‘accademico’, distante dalla formule e dal gusto imperanti, non può essere compreso nel momento (storico) in cui nasce, si manifesta. Solo una visione a ritroso, una visione à vol d’oiseau, un modo di guardare che presupponga una certa ‘lontananza’ critica, consente, ai più, di prendere coscienza e consapevolezza delle cose. Sono rari, rarissimi, gli individui capaci di vedere, da subito, la grandezza o, quantomeno, l’enorme potenziale insiti in una cosa o in una persona che si rivelino oggettivamente diversi, indefinibili, incomprensibili: nuovi. Tutto ciò che non comprendiamo merita, secondo noi, il rifiuto o lo scherno.

Torniamo nella Ville Lumière. Gli artisti che avevano ricevuto un rifiuto da parte della commissione giudicatrice ufficiale nel 1863, non accettarono tale decisione e si fecero fautori di una rumorosa protesta a cui Napoleone III decise di porre fine con la propria idea: la creazione di un Salon non ufficiale, in cui sarebbe stato il pubblico a determinare se le opere esposte avessero meritato o meno il rifiuto.

Nel quotidiano francese Le Moniteur universel del 24 aprile 1863, si legge : ‘De nombreuses réclamations sont parvenues à l’Empereur au sujet des œuvres d’art qui ont été refusées par le jury de l’Exposition. Sa Majesté, voulant laisser le public juge de la légitimité de ces réclamations, a décidé que les œuvres d’art refusées seraient exposées dans une autre partie du Palais de l’Industrie. Cette exposition sera facultative, et les artistes qui ne voudraient pas y prendre part n’auront qu’à informer l’administration qui s’empressera de leur restituer leurs œuvres. Cette Exposition s’ouvrira le 15 mai’.

Il pubblico, ovviamente, non mostrò alcun favore verso le opere del nuovo salone e molte di queste furono oggetto di derisione: come ho accennato sopra, il quadro di Manet, Déjeuner sur l’herbe [Fig. 3], provocò un vero e proprio scandalo.

Fig. 3, Édouard Manet, Déjeuner sur l’herbe (1862-1863), Parigi, Musée d’Orsay

La decisione di Napoleone III creò una sorta di spartiacque per cui le cose cambiarono in maniera definitiva. La pittura moderna europea è praticamente nata da quella frattura, dalla reazione di quei dissidenti che, inconsapevolmente (o forse no) ne sono stati i veri padri fondatori.

Ma ci fu anche un altro grande cambiamento sociale, un enorme passo in avanti per l’arte che iniziava così ad affrancarsi da un sistema stanco e polveroso in cui soltanto gli esperti ufficiali potevano decretare il valore di un’opera pittorica o scultorea: gli artisti iniziarono ad organizzare le proprie mostre in maniera del tutto autonoma, senza vincoli.

Così, il 15 aprile 1874, nello studio fotografico di Gaspard-Félix Tournachon [Fig. 4], meglio noto come Nadar (Parigi, 1820-1910), gli artisti Cézanne, Pissarro, Renoir, Degas e Monet, organizzarono la loro prima mostra pittorica collettiva.

Fig. 4, Nadar, Autoritratto, 1865

Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926), espose l’opera: Impression, soleil levant [Fig.5] conservata oggi nel Museo Marmottan – Monet a Parigi. Dal commento che fece un critico, deridendo l’opera di Monet, l’intero gruppo fu denominato gruppo degli ‘Impressionisti’. Definizione che non offese affatto i protagonisti, anzi, da quel momento in poi,  fu adoperata da loro stessi per le esposizioni che seguirono.

Fig. 5, Claude Monet, Impression, soleil levant, 1872, Parigi, Museo Marmottan – Monet

Quest’opera, incredibilmente bella, è interamente costruita sulla modulazione esatta e rapidissima di colori cangianti e squisite vibrazioni luminose; si vedono perfettamente le pennellate e si riesce quasi ad immaginare il tocco, l’attimo in cui dalla tavolozza i peli del pennello prelevano il colore per trasferirlo sulla tela. In basso, quei sottili guizzi scuri sembrano pesci silenziosi al di sotto della piccola imbarcazione  in primo piano in cui si ‘intuisce’ la presenza di una figura umana. E qui si rintraccia il fulcro della modalità espressiva con cui Monet ha rappresentato quest’alba fatta di pura magia cromatica: la potenza del colore che, da forma, si fa contenuto della rappresentazione. La sperimentazione pittorica ‘dal vero’ (en plein air) lontana dagli artifici luminosi creati all’interno degli studi, dona questa stupefacente sensazione di immediatezza visiva. Quest’opera ricrea perfettamente l’impressione che si stampa nei nostri occhi guardando il farsi del giorno su uno specchio d’acqua.

Monet, aveva capito perfettamente quale fosse quel limite conoscitivo umano di cui ho parlato sopra. L’essere umano ha bisogno di rileggere le cose, a distanza, per prenderne coscienza o per stabilirne il valore. Essere ‘sul momento’ e capire, è cosa davvero insolita, per pochissimi. Evidentemente. Per questo motivo, ‘inventando’ questo modo di dipingere, Monet obbliga lo spettatore a guardare l’opera da una certa distanza per poterne rintracciare la potenza estetica; altrimenti, guardando questo quadro da vicino, non si vedrebbe altro che un agglomerato confuso e illeggibile di macchie colorate… Geniale.

Il rifiuto ufficiale, ha fatto di loro una sorta di mito dal fascino inesauribile e riconosciuto da tutti, sono gli artisti più amati, sono gli Impressionisti.

Lucia Borri

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